LA “SS NOVA SCOTIA”
Il piroscafo “SS Nova Scotia”, di 6976 tonnellate, fu costruito nei cantieri navali di Liverpool e varato nel 1926 destinato al trasporto merci e passeggeri per la Furness Withy Line operante al servizio della Johnston Warren Lines . In origine aveva in dotazione 105 cabine passeggeri e ne poteva ospitare altri 80 in posti di terza classe. Nel gennaio del 1941 la nave venne requisita dalla Marina Britannica per essere destinata al trasporto truppe sulla rotta Aden – Sud Africa.
Nel suo ultimo viaggio, come già ampiamente descritto, avvenuto nel novembre del 1942, trasportava, oltre all’equipaggio, 6 passeggeri, 11 militari artiglieri navali, 134 soldati sudafricani, 765 prigionieri di guerra italiani tra i quali alcuni civili.
Nell’attacco da parte del sommergibile tedesco U-177 persero la vita il oltre al Capitano Alfred Hender, 96 uomini dell’equipaggio, 10 artiglieri navali, 8 militari, 5 passeggeri, 88 soldati sudafricani e 650 prigionieri di guerra italiani. Gli altri furono salvati dalla nave da guerra portoghese “Afonso de Albuquerque” accorsa su segnalazione delle autorità tedesche per soccorrere i naufraghi italiani alleati.
Scomparve praticamente l’intero comando della nave del quale ricordiamo:
Captain Alfred Hender
Chief Officer James Arnold Warren
2nd Officer Allan Watterson DSC
3rd Officer Arthur Parr Dawkins
Carpenter Herbert Wilkinson
Bosun Charles Augustus Lafite
Chief Engineer James Thornquist
2nd Engineer William Allan Raitt
3rd Engineer Felix Joseph Gerrard Reid
4th Engineer Thomas Hewitson
5th Engineer Harry Williams
Electrician Hugo Henneberg
1st Radio Officer Gerald Francis Doyle
2nd Radio Officer Francis Nally
3rd Radio Officer Stanley Clifford Stokes Shelton
Purser James Rutherford Miller
2nd Purser Lawrence Stuart Whitehill
Liaison Officer James Mawdsley
Nota:
esistono informazioni su alcuni tentativi di recuperare il relitto del Nova Scotia nel corso degli anni. Tuttavia, a causa della sua profondità e delle difficili condizioni marine, questi sforzi non sono stati coronati da successo.
Uno dei tentativi più noti è stato fatto nel 2001, quando una squadra di subacquei ha esplorato il relitto a una profondità di circa 2.700 metri. Durante questa spedizione, sono state effettuate fotografie e raccolti dati per documentare lo stato del relitto e la sua posizione esatta. Tuttavia, il recupero fisico del relitto non è stato possibile a causa delle sfide tecniche e logistiche.
Il Nova Scotia giace sul fondo dell’oceano, e la sua posizione esatta è stata mantenuta segreta per evitare il saccheggio da parte di cacciatori di tesori o danni causati da attività umane. La sua storia tragica e il ruolo che ha avuto nella Seconda Guerra Mondiale continuano a suscitare interesse e curiosità, ma per ora il relitto rimane inaccessibile alle operazioni di recupero su larga scala.
U_BOOTE 177 ( Type IXD2)
Il sommergibile oceanico tipo “IX”, a doppio scafo, derivava da quello dei battelli della serie U81-86 del 1926 e si ispirava, per alcune soluzioni tecniche, al tipo IA del 1936.
Realizzato in sette successive varianti (IXA, B, C, C-40, D1, D2 e D2-42) per un totale di oltre 200 battelli, il tipo IX fu secondo solo al tipo VII per numero di unità costruite e per risultati complessivi ottenuti in campo operativo.
Dotati di buone qualità nautiche e di una elevata autonomia, che già nelle prime varianti raggiungeva le 10500 miglia per arrivare alle 31500 miglia a 10 nodi nelle ultime, i IX furono battelli oceanici per eccellenza della Marina Tedesca, operando prevalentemente lungo le coste degli Stati Uniti, nell’Atlantico meridionale e nell’Oceano Indiano. Il loro caratteristico ponte di coperta largo e piatto e le murate quasi perpendicolari alla superficie, conferivano alle unità una buona attitudine a reggere il mare agitato durante la navigazione in superficie, ma influivano negativamente sul tempo minimo per la rapida immersione che si aggirava per tutte le versioni, sui 35 secondi contro in 25-30 dei tipi VII. Tale tempo risultava tuttavia accettabile e decisamente inferiore a quello necessario alla rapida immersione dei contemporanei sommergibili di pari dislocamento appartenenti ad altre nazioni. La massima profondità operativa fu per tutte le varianti, dell’ordine di 150 metri.
Passando a descrivere la variante D possiamo dire che venne progettata nel 1940, conferendole maggiori dimensioni ed un notevole aumento dell’autonomia e della velocità. Questi modelli vennero equipaggiati con motori diesel di tipo convenzionale ma di maggior potenza, tanto da consentire una velocità massima di 19,2 nodi, ritenuta indispensabile per le operazioni nel Sud Atlantico e nell’Oceano Indiano, per le quali i battelli erano stati progettati.
Il nostro interesse, in questo sito, si concentra, per ovvi motivi, sulla storia e sulle caratteristiche del modello U-177, nel periodo trascorso al comando del Capitano di Corvetta Robert Gysae, per il quale, qui di seguito, forniamo alcuni dati e caratteristiche.
Le operazioni di guerra dell’U-177 nel periodo che ci interessa:
L’U-177 lascia Kiel sotto l'ordine di Robert Gysae il 17 settembre 1942 ed arriva a Bordeaux il 22 gennaio 1943 dopo appena diciotto settimane. In questo periodo Robert Gysae ha colpito nove navi:
• Il 2 nov. 1942 ha affondato la nave greca Aegeus di 4.538. tons.
• Il 9 nov. 1942 ha danneggiato la nave Britannica Cerion di 2.588 tons.
• Il 19 nov. 1942 ha affondato la nave Britannica Scottish Chief di 7.006 tons.
• Il 20 nov. 1942 ha affondato la nave Americana Pierce Butler di 7.191 tons.
• Il 28 nov. 1942 ha affondato la nave Britannica HMS Nuova Scozia di 6.796 tons.
• Il 30 nov. 1942 ha affondato la nave Britannica Llandaff Castle di 10.799 tons.
• Il 7 dic. 1942 ha affondato la nave greca Saronikos di 3.548 tons.
• Il 12 dic. 1942 ha affondato la nave Britannica Empire Gull di 6.408 tons.
• Il 14 dic. 1942 ha affondato la nave Tedesca Sawahloento di 3.085 tons.
il Comandante Gysae svolse successivamente , con l’U-177 molte altre operazioni, effettuate con successo, per lasciare poi, nell’ottobre del 1943, il comando dell’U-177 ad altri ufficiali.
Le caratteristiche principali di questo sommergibile erano le seguenti:
• Dimensioni : lunghezza m 87.6 - larghezza m 7.50 / 4.40 - pescaggio m 5.40 – altezza m 10.20.
• Dislocamento: in superficie tons 1616 – in immersione tons 1804 – totale tons 2150.
• Autonomia: in superficie km 20400 a 10 nodi (km/h 19) – in immersione km 185 a 4 nodi (km/h 7).
• Profondità massima d’immersione m 230 – profondità di crociera m 108.
• Propulsione: 2 motori diesel a 9 cilindri da BHP 2200 ciascuno – 2 generatori elettrici da BHP 580 ciascuno.
• Dotazione combustibile: max tons 441.
• Velocità: in superficie nodi 19.25 – in immersione nodi 7.
• Armamento: tubi di lancio n. 4 x 21” a prua e n. 2 x 21” a poppa - siluri n 22 - n 1 cannone da 105/45 – 1 mitragliera da 37 – 1 mitragliera da 20.
• Equipaggio: n 4 ufficiali – n. 53 sottoposti – in totale max n 63.
L’U-177 , nelle sue missioni di guerra ha affondato, complessivamente, n 14 navi per un totale di 87388 tons. e ha danneggiato n 1 nave per un totale di 2588 tons.
FILMATO DI PROPAGANDA TEDESCO
SU ROBERT GYSAE
FILMATO IN INGLESE SU ROBERT GYSAE
I’U-Boote 177 fu affondato il 6 febbraio del 1944, nell’Atlantico del sud, ad ovest dell’isola di Ascensione, e più precisamente nella posizione a 10.35 Sud e 23.15 Ovest, colpito da un aereo americano del tipo US Liberator (VB-107/B-3), perdendo 30 uomini dell’equipaggio e 15 superstiti.
L’AFONSO DE ALBUQUERQUE
Le navi a due classi Albuquerque, l’”Afonso de Albuquerque” ed il suo gemello “Bartolomeo Dias”, classificati come "Avvisi di 1a classe" sono stati progettati per operare in acque d'oltremare, dove era necessario mantenere una presenza simbolica, anche in vasti possedimenti portoghesi non solo in Africa ma in Asia. La classificazione è stato poi cambiato in fregata.
In realtà “avviso”, è un termine che può essere fuorviante quando è entrato in servizio nei primi anni '30, erano le due navi più significative della marineria, anche se non hanno nemmeno lontanamente una velocità superiore a 36 nodi.
Inizialmente commissionate ai cantieri navali italiani sono state poi costruite nel Regno Unito. Erano al servizio durante la Seconda Guerra Mondiale, dove è stato il leader portoghese nella presenza militare nel mare indiano e anche a Macao. Dopo la
fine della guerra, sono stati rimossi quattro cannoni antiaerei da 40mm che sono stati sostituiti con otto cannoni 20 millimetri. Oltre a questo materiale e armamento principale (quattro pezzi di 120mm) sono stati inoltre dotati di due pezzi di 76mm. L’ Albuquerque è stata distrutta in combattimento nel dicembre del 1961 da una forza dell'Unione indiana. Il “Bartolomeo Dias” è stato rinominato Saint Kitts nel 1967 e trasformato in nave di stoccaggio.
Dislocamento standard: 1780 Ton
Dislocamento max.: 2440 Ton.
Dimensioni: Lunghezza: 99,6 M - Larghezza: 13.49M
Equipaggio: 189
Propulsione Tipo: turbina a vapore
Caldaie x 2 (Oil) Achillea (0); 2 x turbina accoppiata Parsons (8000cv/hp)
Autonomia: 18 mila km a 10 nodi - Numero di assi: 2 - Velocità max: 20 nodi
Dal volume “Gli italiani nel Mozambico portoghese (1830-1975) di Augusto Massari per l’edizioni L’Harmattan Italia Torino, 2005, estraiamo quanto si racconta della vicenda del Nova Scozia, con riferimento a quanto successe sulla nave portoghese accorsa a salvare i naufraghi del Nova Scotia.
Il soccorso del cacciatorpediniere Afonso De Albuquerque Quando a Berlino giunse il dispaccio radio dell’U-boot 177, fu inviata
all’ambasciata tedesca in Madrid una richiesta di soccorso con istruzioni di trasmetterla all’ambasciata tedesca in Lisbona. Questa doveva informare il Governo portoghese e chiedergli d’inviare i soccorsi, essendo quest’ultimo un Paese neutrale alla guerra. Così avvenne. Il comandante della nave portoghese, capitano Guerriero de Brito, non appena messosi in mare, rastrellò
l’oceano con metodo scientifico. Su una carta nautica aveva tracciato un rettangolo largo 5 miglia e lungo un centinaio e faceva la spola in continuazione dall’uno all’altro dei lati maggiori; solo così poteva avere la certezza di salvare chi era ancora vivo.
In questo modo riuscì a portare in salvo 119 italiani e 64 tra sudafricani ed inglesi: “i marinai lusitani si prodigarono con abnegazione ed eroismo, affrontando loro stessi la morte pur di strappare alle onde una vita: e non poche volte il corpo a tanta fatica recuperato era ancora tiepido ma orrendamente mutilato dagli squali”. Una volta messi in salvo i superstiti sull’”Afonso de Albuquerque”, i portoghesi fecero l’impossibile, dando a tutti un indumento (molti infatti erano giunti a bordo come la loro mamma li aveva messi al mondo), medicandoli, tentando di tirar su loro il morale con l’aguardiente, cedendo le loro cuccette; ma nessuno degli italiani riuscì a coricarsi: tutti rimasero in coperta, sferzati dal vento, incuranti del freddo, con gli occhi sbarrati sull’oceano, volgendo lo sguardo all’inconscia ricerca dei loro compagni di prigionia.
Trascriviamo per avere la certezza di continuare a rimanere prossimi alla verità, il rapporto che il comandante De Brito inviò al Governatore Generale della Colonia del Mozambico il primo dicembre, dopo aver terminato le operazioni di salvataggio dei naufraghi: “AVISO DE 1^ CLASSE “AFONSO DE ALBUQUERQUE” Nr. 452. Para comhecimento de V. Ex^ tenho de comunicar que em 28 de mès p.p. racebi ordem de Sua V. Ex^ o Almirante Major General da Armada, para sair urgentemente em procura de naufragos dum navio, que nesse mesmo dia tinha sido torpedeado a 150 milhas ao sul da ponta da Inhaca.
Cumprida a ordem o mais rapidamente que me foi possivel, em 29 daquele mes, cerca do meio dia, estava no local que me tinha sido indicado, pucos momentos deposi foram avistados os primeiros naufragos, distrinuidos por inumerai jangadas dispersas numa larga area, quasi toda ela coperta de nafta e destroços do navio torpeadeado.
O quadro que se me apresentou deu-me desde logo uma nitida impressão da tragedia que se tinha desenrolado, pois a maioria das jangadas mal poderiam conter dois naufragos, e, muitos destes apareciam agarrados a pequenos destroços, que osa brigava a estar dentro da agua e quasi todos completamente forrados de espressa camada de nafta.
Iniciei imediatamente a faina de salvamento, que se prolongou ininterruptamente até meio dia de 30 de novembro.
Deposi de un trabalho esgotante em circunstâncias de mar por vezes puco favoràveis, recolheram-se 184 dos nàufragos, dois dos quais faleceram à sua chegada a bordo.
Tratava-se do navio “NOVA SCOTIA”, que do norte se dirigia para a Africa do Sul com tropas inglesas e sul-africanas, prisioneiros e internados italianos, e ainda alguns passageiros entre os quasi 4 senhoras e uma criança, num total de cerca de 1200 pessoas.
Finda a faina de salvamento e convencido que não haveria mais sobreviventes daquela tragédia, na zona de provàvel dispersão de embarcações e jangadas, regressi a Lourenço Marques à maxima velocidade possivel, pois o estrado de grande parte dos naufragos era grave, erbora não desesperada, e, com os recursos de bordo não era possivel prestar-lhes tôda a assistência de que eles careciam.
As 10,00 horas de 1 dezembro corrente, atraquei ao cais de Lourenço Marques, entregando os naufragos “as autoridades da Colnia para serem internados ou não conforme a situação juridica de cada um”, em conformidade coma s ordens por mim recebidas de Sua Ex^ o Almirante Major General de Armada.
Junto tenho a honra de remeter a V. Ex^ uma relação nominal provvisoria dos naufragos entregues, solicitando que seja rectificada e me seja enviado um cadastro completo, do que conste: a) numero de naufragos por cada nacionalidade; b) natureza de cada um deles, isto è, se civis, militares ou prisioneiros; c) nomes e postos dos oficiais que porventura haja entre os naufragos.
A BEM DA NAÇÃO, Bordo do referido, em Lourenço Marques, 1 de dezembro de 1942. Guerriero de Brito (Cap. de mar e guerra).
Che tradotto nella nostra lingua dice:
"INCROCIATORE di 1^ CLASSE" AFONSO DE ALBUQUERQUE "n. 452. Per portare a conoscenza di V. Ex^ devo comunicare che il 28 di questo mese.
ricevetti ordine dal suo V. Ex^ l'ammiraglio Major generale dell'esercito, di uscire urgentemente in ricerca di una nave, che in questo stesso giorno era stata silurata a 150 miglia a sud della punta “Inhaca”.
Compiuto l'ordine il più rapidamente possibile, il 29 di questo mese, circa a mezzo giorno, ero nel luogo che mi era stato indicato, e pochi momenti dopo sono stati scorti i primi naufraghi, distribuiti su innumerevoli zattere disperse un'ampia area, quasi tutta coperta dalla nafta e dai rottami della nave silurata. Il quadro che mi si è presentato mi ha data subito una chiara impressione della tragedia che si era svolta. La maggioranza delle zattere poteva appena contenere due naufraghi, mentre molti erano afferrati a piccoli relitti, altri combattevano nell’ acqua e quasi tutti erano completamente ricoperti di nafta.
Ho iniziato immediatamente il lavoro di salvataggio, che si è prolungato senza interruzione fino a mezzo giorno del 30 novembre. Dopo un lavoro estenuante, sotto condizioni di mare a volte poco favorevoli, abbiamo raccolto 184 naufraghi, due dei quali sono morti al loro arrivo a bordo. Si trattava della nave "NOVA SCOTIA", che del nord si dirigeva verso l’Africa del Sud con truppe inglesi e Sud-Africane, prigionieri ed internati italiani, ed alcuni passeggeri tra le quali 4 signore ed un figlio, in un totale di circa 1200 persone.
Finito il lavoro di salvataggio e convinti che non ci sarebbero stati più sopravvissuti di questa tragedia, dalla zona dove vi erano disperse barche e zattere, ritornai a Lourenço Marques alla massima velocità possibile, in quanto il quadro di grande parte dei superstiti era grave, sebbene non disperata, e, con le risorse di bordo non era possibile prestare loro tutta l'assistenza di cui avevano bisogno. Alle 10.00 del 1 dicembre, attraccammo al porto di Lourenço Marques, consegnando i naufraghi alle "autorità della Colonia per essere internati o meno a seconda della situazione giuridica di ciascuno", in conformità agli ordini ricevuti da sua Ex^ l'Ammiraglio Maggiore Generale d'Esercito. Ho l’onore di inviare, unita alla presente, a V. Ex^ una relazione nominativa provvisoria dei naufraghi consegnati, sollecitando che essa sia rettificata e che mi sia inviato un elenco completo, consistente: a) numero dei naufraghi per ogni nazionalità; b) natura di ciascuno di loro, se civile, militare o prigioniero; c) nomi e categoria degli ufficiali che nell’ occasione erano tra i naufraghi.
Per Il BENE della NAZIONE, scritto a bordo, in Lourenço Marques, 1 dicembre 1942. Guerriero di Brito (Cap. di mare e guerra).
Di rientro verso il porto di Lorenzo Marques, il cacciatorpediniere portoghese ricevette una richiesta, che non soddisfò, proveniente da una nave da guerra britannica che gli sollecitava di dirigersi a Durban.
Lo sbarco a Lorenzo Marques dei 119 naufraghi italiani Una volta attraccato alla banchina del porto di Lorenzo Marques, ambulanze militari e dell’ospedale Miguel Bombarda, insieme ai primi soccorsi messi in sesto dal “Cuminhos de Ferro de Lourenço Marques (CFLM)” erano ad attendere la nave portoghese con i 183 naufraghi superstiti a bordo, di cui 119 italiani. Di questi, 71 (fra cui 51 italiani e 20 inglesi) furono immediatamente ricoverati presso l’ospedale della città, giacchè riportavano gravi ferite provocate dalle scottature a causa dell’incendio della nave e dai morsi degli squali. Gli altri furono internati presso il quartiere militare di Lorenzo Marques.
Si seppe in seguito che più della metà dell’equipaggio e dei passeggeri della Nova Scotia trovò la morte durante l’esplosione della nave dopo il siluramento.
Gli altri morirono al momento dell’affondamento o mangiati dai pescecani. Sembra che la nave britannica, raggiunta da due siluri lanciati dall’U-boot 177, fosse affondata nel giro di sette minuti. I due sopravvissuti fatti salire a bordo dell’U-boot 177 furono sbarcati sani e salvi qualche mese dopo nella nuova base del sottomarino germanico, a Bordeaux, in Francia.
Con il loro arrivo, il numero dei rifugiati italiani in Mozambico, era cresciuto enormemente, venendosi a sommare ad altri che per varie ragioni e con mezzi diversi erano riusciti a riparare a Lorenzo Marques. Dopo aver reso il giusto omaggio ed il dovuto ringraziamento al Portogallo per l’eroica impresa della nave Afonso de Albuquerque, con telegramma dal Ministero degli Esteri in Roma alla Regia Legazione d’Italia in Lisbona, che diceva: “Manifestate a codesto Governo nostra riconoscenza per salvataggio effettuato da Marina portoghese di 115 (sappiamo in realtà che il giusto numero era 119) connazionali naufraghi del “Nova Scotia” e per assistenza che ai predetti viene data da Autorità Lorenzo Marques”, alle autorità italiane spettò il compito, non facile, di dare adeguata assistenza ai 119 naufraghi. Venne stabilito un sussidio per ciascun naufrago con il quale doveva sostenersi, ovviamente cercando di arrangiarsi per quanto dovesse occorrergli oltre quella cifra. Fu così che molti di essi mettendo a frutto le proprie capacità e l’arte di arrangiarsi che da sempre contraddistingue il popolo italiano, riuscirono a trovare una occupazione e crearsi una posizione. Molti altri rientrarono, in tempi diversi, in Patria.
La fine
L’Afonso de Albuquerque, quando fu chiamato alla sua missione di salvataggio, si trovava per pura casualità attraccato al porto di Lorenzo Marques, dove vi era arrivato il giorno precedente. Esso infatti, proprio in quei giorni aveva fatto una sosta mozambicana durante un viaggio di tirocinio per i nuovi cadetti, nel corso del quale erano stati toccati tutti i porti africani posseduti dal Portogallo.
Quando il cacciatorpediniere portoghese che portò in salvo gli italiani da questa tremenda avventura si apprestava a lasciare la capitale del Mozambico per uscire al largo e navigare fino a Lisbona, quattro rappresentanti italiani a nome dei superstiti del naufragio del Nova Scotia, capeggiati dal giornalista Dominione, si recarono a bordo dell’Afonso de Albuquerque per ringraziare sentitamente il comandante della nave lusitana. In quell’occasione gli italiani consegnarono al comandante Guerriero de Brito, una targa d’argento sulla quale, in lingua italiana, vi era testualmente scritto: “ i naufraghi italiani del Nova
Scotia come pegno di riconoscimento all’eccellentissimo signor comandante, ufficiali ed equipaggio dell’Afonso de Albuquerque. Oceano Indiano 20 IX 1942, XX E.F. – Lourenço Marques 10. I. 1943, XX E.F.”.
E’ doveroso ricordare che l’Afonso de Alquerque ebbe un triste destino. Esso fu affondato dal suo stesso equipaggio, nel dicembre del 1961, durante un attacco, al largo del possedimento portoghese di Goa, da parte dell’India, in quanto senza scampo essendo circondato da alcune motosiluranti nemiche.
L’ Afonso de Albuquerque - Articolo tratto dal sito : http://www.betasom.it/forum
Avendo ottenuto il permesso dall’A. della più recente pubblicazione che parla di tale nave, mi permetto di stralciarne ampi brani.
Una premessa indispensabile per capire:
il 28 novembre 1942 il Nova Scotia, mercantile britannico normalmente adibito a trasporto truppe, veniva silurato nel canale di Mozambico dall’U-177 del com.te Gysae. Però in quel momento non trasportava truppe, ma circa 780 prigionieri civili italiani raccattati nel Corno d’Africa, e ovviamente guardie, equipaggio ecc. In totale circa ( il circa è d’obbligo, per varie ragioni) 1050 persone. Quando Gysae si accorse di avere silurato civili suoi alleati, avvertì Berlino, che avvertì Madrid, che allertò Lisbona, che allertò Lourenco Marques, capitale della sua colonia del Mozambico.
Fonti (originali) Principali "Utilizzo l’articolo pubblicato da Gomes Ramos, primo tenente dell’ Afonso de Albuquerque, su <<Anais do Club Militar Naval>>, 1952, pp. 503–520, O Afonso de Albuquerque salva naufragos do Nova Scotia; tale articolo, scritto da un protagonista in prima persona e con funzioni di comando, ritengo possa annullare altre informazioni, che danno la partenza dell’aviso portoghese al mattino, probabilmente per confusione tra le 9 A.M. e le 9 P.M.
Altri dati li devo alla disponibilità dello studioso sudafricano Allan Jackson, che mi ha fatto pervenire copia del testo di Ian Uys il “Survivors of Africa‘s Ocean”, Fortress Publ. Ltd., Germiston, (Rep. of South Africa) 1993. curatore del sito www.fad.co.za, che si occupa di approfondire la storia di Durban, nel quale più di una volta si fa riferimento all’affondamento del Nova Scotia e al salvataggio ad opera dell’ Afonso de Albuquerque.
“L’ Afonso de Albuquerque, un aviso, come venivano chiamate fin dal XIX secolo le navi portoghesi da guerra destinate ad essere utilizzate per controllo e pattugliamento nelle colonie. Gli avisos coloniali, trovandosi a dover operare spesso isolati, in territori lontani dalla madrepatria, pur somigliando a cacciatorpediniere per tonnellaggio, avevano una maggiore autonomia. Inoltre, essendo destinati ad operare prevalentemente in climi tropicali, avevano particolari condizioni di climatizzazione e possibilità di refrigerare gli alimenti. L’ Afonso de Albuquerque era un aviso di I classe, cioè era un incrociatore leggero, ben armato, con un dislocamento di 2420 tonnellate e una velocità di 21 nodi. Costruita nel 1934, aveva dato il nome alla sua classe di avisos.
Il 2 ottobre 1942 l’ Albuquerque era partito da Lisbona per una crociera di istruzione per guardiamarina. Come previsto, era arrivato in Mozambico il 27 Novembre, senza avere fatto nessuna tappa intermedia. La sosta a Lourenço Marques doveva essere breve, perciò ci si occupò subito dei necessari rifornimenti , in previsione della successiva partenza. La rapidità degli approvvigionamenti si rivelò poi determinante. Mentre le stive si stavano riempiendo, il capitano e buona parte dei marinai e degli ufficiali erano scesi in città. Non immaginavano che entro poche ore sarebbero stati protagonisti di un generoso, drammatico intervento di salvataggio.
Il capitano Josè Augusto Guerreiro De Brito interruppe la sua cena per precipitarsi a bordo quando ricevette quel messaggio: <<Procedere immediatamente a tutta velocità a raccogliere sopravvissuti. Nave affondata h. 9 mattino di oggi. Latitudine 28°30’ S, longitudine 33° Est – 180 miglia Sud di Lourenço Marques>>.
Alle 2,30 del 29 Novembre, l’ Afonso de Albuquerque salpò. De Brito conosceva le correnti e si basava sui dati meteo: sapeva che non avrebbe trovato nessuno alle coordinate che gli avevano indicato, che i naufraghi sarebbero stati spinti dalle onde e dai venti verso sud-ovest. Partendo dal punto dell’affondamento, traccia una rotta parallela alla costa, a una distanza di 8 miglia; inizia a seguire questa linea ideale in lunghi andirivieni, procedendo gradualmente verso sud – ovest; conta di trovare scialuppe cariche che si dirigono verso terra, troverà invece soprattutto relitti, piccoli canotti, naufraghi isolati dispersi dalle onde.
[…]La nave di cui si parlava nel messaggio era il piroscafo Nova Scotia, quel mercantile che già compariva nei “ricordi di viaggio” dell’aviso. Si erano conosciuti anni prima, in Canada.
[…] Quel mattino del 29 novembre, un altro messaggio, proveniente dal BdU, il Comando Sommergibili, raggiunge l’U-177: <<Due avisos portoghesi partiti verso luogo di affondamento Nova Scotia. Non ostacolare>>. Gysae capisce: non gli stanno dicendo ciò che è ovvio, cioè di non ostacolare i soccorsi che lui stesso ha chiamato. Gli stanno dicendo che i soccorsi sono partiti, e che quindi lui e il suo equipaggio possono ancora sentirsi marinai. Lo comunica rapidamente all’equipaggio: quel che si poteva fare è stato fatto.
Berlino informa che le navi portoghesi sono due: infatti, al salvataggio partecipò anche, o avrebbe dovuto partecipare, come nave appoggio, un altro aviso, il Gonçalves Zarco, che al momento in cui l’Albuquerque salpò era ancorato al medesimo molo: ma a causa delle cattive condizioni del mare fu impossibile per De Brito mantenere i contatti per radio, perciò dovette ogni tanto affidarsi ai collegamenti telefonici tramite la stazione locale. Lo Zarco non riuscì a raggiungere la zona dove operava l’Albuquerque, tuttavia, a quanto pare, recuperò qualche disperso.
[...] L’isola di Inhaca chiude a Est la grande baia di Lourenço Marques, ed è un punto di riferimento. A partire da lì, da Inhaca, De Brito decise di fare decisamente rotta a Sud, poi, quando i primi raggi del sole di quel 29 Novembre cominciavano ad illuminare di traverso le onde, cominciò a seguire un suo labirinto geometrico, entro il quale sapeva di non perdersi: ampi andirivieni a serpentina.
La corrente andava a Sud-Ovest, il vento spingeva leggermente da Nord-Est. Josè Augusto Guerreiro De Brito sapeva che dalla sua conoscenza ed esperienza di mare, ma soprattutto da calcoli matematici, dipendeva la vita di centinaia di uomini.
Solo verso mezzogiorno, quando già erano passate circa trenta ore dall’affondamento, l’ Afonso de Albuquerque arrivò in zona critica. Ma non si vedeva nulla.
Poi un urlo, chissà chi lo lanciò tra i marinai: ”Eccoli!” Erano le 13,12, quando venne avvistato il primo canotto, e dopo pochi minuti una zattera. E poco dopo un’ altra a babordo, e poi due relitti verso Sud...
Erano arrivati in zona, ma cominciava per loro la disperazione della scelta: mentre ne recuperavano a Sud, ne avvistavano altri a Nord, follemente aggrappati ai loro pezzi di legno, ai loro relitti.
[…] De Brito doveva scegliere: impossibile, assolutamente impossibile, salvare subito tutti quelli che erano avvistati.
Prima scelta: recuperare quelli che non avevano neanche la possibilità di una tavola o di un relitto minimamente stabile, quelli che il Cielo aveva in qualche modo preservato fino a quel momento, nonostante il freddo, la pazzia, gli squali, le ferite, perché fosse lui, Josè Guerriero De Brito, a decidere per loro.
E quindi le scialuppe portoghesi raccolsero per primi gli ultimi degli ultimi, quando potevano: quelli che la vita aveva aggrappato a un remo, a una scheggia di portellone, a un pezzo di trave.
Poi ci fu la possibilità di recuperare due grandi zattere sovraccariche, su una delle quali una sorprendente bandiera azzurra, straccio chissà come recuperato, aveva fatto da utilissima segnalazione per tenerla d’occhio e poi raggiungerla.
Erano le 13,25, e da quel momento De Brito non ebbe certo più tempo di tenere con regolarità il diario di bordo, che si fa spezzettato, drammatico. Da quel momento, tutti capirono che dovevano starsene sui ponti, a scrutare quell’ ambigua distesa di onde, che non sai mai se vuole farti vedere quel che c’è da vedere. Con lunghi meandri, l’ Afonso de Albuquerque continuava a battere il mare.
[…] Era il pomeriggio del 30 novembre, il Nova Scotia era affondato al mattino presto del 28 novembre: quanto tempo era passato? Circa sessanta ore, sessanta ore di acqua, di squali, di ondate, di sete, di ferite tormentose.
Sull’ Afonso della Albuquerque il medico di bordo non ha requie: gli hanno assegnato, oltre a un infermiere e al farmacista, un fuochista e tre guardiamarina per gestire al meglio l’assistenza sanitaria. Non avranno rimorsi: per trentasei ore sputeranno l’anima, ma molte vite continueranno grazie a loro.
[…] Però sono passate sessanta ore, e il comandante De Brito sa che deve prendere una decisione, probabilmente la più sofferta decisione della sua vita: il mare è ormai molto forte, le speranze ulteriori di recupero sono meno che scarse, e a bordo c’è troppa gente tra la vita e la morte. Deve fare i conti con la sua professione, oltre che con i suoi ricordi e rimpianti per il futuro: il mare monta sempre più, ci sono tutti i segni di fortunale in arrivo; le possibilità di trovare altri si vanno facendo esigue, ma pur ci sono. Deve scegliere, e in fretta: o dirigersi verso l’ospedale di Lourenço Marques sperando di salvare chi è stato recuperato, abbandonando quindi eventuali altre vittime; o continuare a pattugliare la zona per salvare altre vite, sperando che la sua squadra medica continui i miracoli che finora ha operato. La scelta è sua.
Alle 16,15 del 30 novembre Josè Augusto Guerreiro De Brito comunica l’ordine: ricerca interrotta, si torna in porto coi motori al massimo.
Josè Augusto Guerreiro De Brito: bel nome vibrante. Bel carattere, soprattutto. Il suo primo tenente riferisce di un cacciatorpediniere inglese che si accostò a sinistra, mentre stavano dirigendo in porto, e con <<estrema cortesia>> formale (ma con notevole arroganza sostanziale), invitò l’ Afonso de Albuquerque a fare rotta verso Durban, invito che ovviamente De Brito respinse decisamente, continuando a navigare e sistemando anzi gli uomini ai posti di combattimento,
dando così ai guardiamarina del suo corso una bella lezione pratica di Diritto Internazionale Marittimo. “
[…]Alle dieci di mattina del 1 dicembre, il porto di Lourenço Marques era ancora più animato di come De Brito l’aveva lasciato qualche sera prima: […] La voce si era già sparsa: ne avevano recuperati. Ne erano morti circa 750.
[…] La nave era attesa da un destino drammatico, ma glorioso. Nel dicembre 1961 forze armate del governo indiano attaccarono le basi portoghesi ancora presenti in India, la principale delle quali era Goa. La Afonso de Albuquerque si batté per la difesa navale di Goa, che, curiosamente, era stata conquistata al Portogallo nel 1510 proprio da ll suo eponimo, il navigatore Afonso de Albuquerque.
Secondo fonti indiane , l’aviso fu costretto alla resa il 18 dicembre 1961 dal cannoneggiamento della nave indiana INS Betwa, e spinta all’autospiaggiamento.
Le fonti della marina portoghese confermano sostanzialmente la versione, salvo sottolineare che le fregate indiane che lo attaccarono erano tre, e che la potenza di fuoco era decisamente a sfavore della Albuquerque. E’ quindi da smentire la più romantica versione di Uys, secondo cui l’aviso stava in quel momento compiendo un’altra missione di salvataggio, portando cibo all’esausta guarnigione di Goa, operazione per la quale aveva ricevuto autorizzazione, salvo poi subire un proditorio attacco. Oltretutto, il comandante de Brito non fu, come dice Uys, tra i sopravvissuti, per il semplice fatto che non era in quel momento imbarcato sulla Albuquerque ( che era comandata nel dicembre 1961 da Antònio da Cunha Aragâo, il quale rimase seriamente ferito nell’azione).
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